Strategie di sviluppo per il biodistretto: il caso canavesano

Un biodistretto è un’area geografica in cui si stabilisce un’alleanza tra diversi attori (agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni) per la promozione dell’agricoltura biologica, il recupero delle tradizioni e delle tipicità locali, la tutela ambientale e la valorizzazione del territorio.

Biodistretto canavesano

L’emergenza ambientale e le nuove forme di ruralità, che si riferiscono a una generazione di nuovi contadini, stanno restituendo centralità al rapporto territorio-agricoltura-sviluppo. Le produzioni e le filiere agroalimentari locali incorporano al loro interno le modalità specifiche con cui la popolazione del luogo ha imparato, nel corso del tempo, a dialogare con l’ambiente circostante.

I beni specifici di un territorio, non solo quelli agroalimentari, incorporano una serie di pratiche spazialmente circoscritte e spesso frutto di secoli di esperienza. Le diverse varietà vegetali e razze animali, compresi tutti i prodotti che ne derivano, sono il risultato di una lunga attività sperimentale di adattamento e di radicamento in uno specifico territorio e rappresentano un bene unico e non replicabile in altri contesti, ovvero un vantaggio comparato naturale.

Un modello di agricoltura capace di valorizzare le produzioni locali può trasformarsi in un prezioso strumento di sviluppo territoriale. Questa potenzialità è stata ampiamente riconosciuta attraverso l’istituzione dei distretti agricoli. Il fenomeno distrettuale è da tempo considerato una risorsa e una specificità italiana data la presenza di porzioni di territorio omogenee dal punto di vista economico-sociale, caratterizzate da una micro-imprenditorialità diffusa e da una forte specializzazione produttiva soprattutto nel settore tessile, calzaturiero, ceramico, alimentare e dell’arredamento.

Così, a partire dalla fine degli anni Ottanta, i distretti in agricoltura sono diventati uno degli strumenti di politica economica volto allo sviluppo dei territori.

Biodistretto

Nel tempo sono nate tante tipologie di distretti, come quelli rurali, agroalimentari e biologici. Quest’ultimi, chiamati anche biodistretti, sono particolarmente interessanti in quanto orientati a una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Un biodistretto è un’area geografica in cui si stabilisce un’alleanza tra diversi attori (agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni) per la promozione dell’agricoltura biologica, il recupero delle tradizioni e delle tipicità locali, la tutela ambientale e la valorizzazione del territorio. In Italia si contano più di una ventina di esperienze biodistrettuali, tutte molto diverse tra loro.

Alcune nate in seguito all’iniziativa degli agricoltori locali e di AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), altre basate sulla precisa volontà dell’amministrazione regionale e altre ancora frutto di un patto tra istituzioni e cittadini. Tra le esperienze più virtuose troviamo il Biodistretto Val di Vara in Liguria e il Biodistretto del Cilento in Campania, che hanno saputo rendere l’agricoltura biologica il motore trainante dello sviluppo locale.

Biodistretti italiani

Su queste premesse si è basato il mio lavoro di tesi, dedicato all’analisi di un caso specifico: il Biodistretto “Filo di Luce in Canavese” in Piemonte. Questo progetto, nato nel 2015 su iniziativa locale, ha l’obiettivo di coordinare attori e risorse del territorio per sostenere la conversione al biologico, promuovere la produzione vitivinicola di Erbaluce e la canapicoltura e riscoprire il patrimonio naturale, culturale e storico in un’ottica di sviluppo sostenibile.

L’obiettivo era dunque verificare se questi buoni propositi si traducevano effettivamente in risultati concreti: il biodistretto in questione favorisce realmente un processo di sviluppo locale sostenibile? Può rivelarsi uno strumento utile per la produzione di territorialità, di quella sorta di terreno fertile per le occasioni di sviluppo?

Durante i vari mesi di ricerca ho esplorato il Canavese in lungo e in largo, osservato come l’agricoltura continua a plasmare il territorio con vigneti e terrazzamenti, vissuto l’atmosfera dei suoi mercati e delle sagre locali, goduto di paesaggi suggestivi fatti di laghi, colline e castelli, gustato prelibatezze tra cui confetture artigianali, paste di meliga e tomini freschi accompagnati dall’eccezionale vino Erbaluce.

Ma soprattutto ho intervistato e conosciuto tanti piccoli agricoltori dediti al loro lavoro, innamorati delle loro terre, impegnati in produzioni di qualità e desiderosi di far rete. Un territorio e un progetto caratterizzati da tanti punti di forza e opportunità che, tuttavia, si scontrano quotidianamente con le problematicità ricorrenti del sistema italiano: mancanza di personale per la gestione del progetto e per la ricerca di fondi, insufficiente attività di promozione e mancanza di cooperazione con le istituzioni. Sono gli stessi ostacoli che fermano sul nascere molti progetti di sviluppo locale, specialmente nelle aree rurali.

Al termine del lavoro di ricerca ho individuato alcune strategie di sviluppo per il biodistretto canavesano nella consapevolezza che questo genere di iniziative locali non possono essere ignorate. Si tratta, infatti, di opportunità uniche per creare quella relazione virtuosa tra la comunità insediata, incoraggiata a sviluppare una coscienza di luogo, e l’agricoltura, declinata in forme innovative ed ecologiche, che si esprime essenzialmente nell’atto del prendersi cura dei campi, degli animali, della biodiversità, dei bisogni dell’uomo e del territorio in generale.

E’ possibile consultare online il documento integrale al seguente link: